“E’ autunno… la donna siede al telaio tesse e canta, oppure cuoce il mosto, il dolce succo, sul fuoco togliendo attentamente con una frasca la schiuma dal liquido ribollente sul paiolo”. Così Virgilio nel I secolo a.C. descrive nelle sue Georgiche una casa contadina dell’area emiliana: ancora oggi la magia del Balsamico Tradizionale ha inizio proprio in questo modo, dai gesti antichissimi della cottura del mosto, che a Spilamberto rivivono ogni anno a inizio ottobre e coinvolgono l’intera comunità.

“Si tratta di una tradizione tramandata di generazione in generazione, giunta fino a noi praticamente immutata – spiega il Gran Maestro Maurizio Fini – Già ai tempi di Virgilio il mosto veniva cotto e portato a diversi gradi di concentrazione”. La sapa si otteneva con un lungo tempo di cottura che portava a una riduzione del volume fino al 70%. Diluita con aceto di vino, serviva a preparare vivande agrodolci spesso presenti sulle tavole dei Romani, come riferisce Marco Gavio Apicio, cuoco ai tempi dell’Imperatore Tiberio (40 a.C. – 37 d.C.). Questo prodotto altro non era che la saba, lo sciropposo mosto che viene utilizzato per preparare i dolci di Natale e che in passato veniva usato dai più poveri come dolcificante al posto del miele, più costoso e meno reperibile. Il defrutum invece era un prodotto ottenuto da un mosto molto meno cotto e ridotto solo di un terzo: è provato che, a causa della sua relativa concentrazione, il defrutum viene spontaneamente attaccato dai lieviti responsabili della sua fermentazione alcolica che costituisce la fase iniziale della vita del Balsamico.

“Ancora oggi, grazie alla millenaria trasmissione del sapere dei nostri avi, cuociamo il mosto sul fuoco, nei paioli a cielo aperto e lo riduciamo al massimo del 30%: un defrutum in piena regola che – grazie all’intuizione o alla casualità – abbiamo imparato a conservare in botti di legno. Dentro ai grandi paioli del “dulcis musti” si concentrano il sapere, la passione, la lentezza, la schiettezza tutta modenese con la quale rispettiamo il ciclo lento e naturale della maturazione della vite e dell’uva. Dopo la pigiatura è doveroso e imprescindibile per chi ama il Balsamico, ripetere i millenari gesti legati alla cottura: è da questo rito – diventato occasione di festa, di rinnovo, di ritrovo sociale dopo mesi di isolamento – che nasce un prodotto unico al mondo”, conclude Fini. Serviranno almeno diecimila giornate di pazienti e sapienti cure, scandite lentamente nella penombra dei solai per godere di profumi e sapori inimitabili: ma il Balsamico Tradizionale e la sua gente, si sa, non hanno fretta.